Detrazione IVA: serve corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica

Il mero possesso della fattura non legittima il diritto a detrazione dell’IVA, che deve essere coerente con l’operazione sottostante (Agenzia delle entrate, risposta 11 settembre 2023, n. 426).

L’articolo 168 della Direttiva IVA, trasfuso nell’articolo 19 del decreto IVA, dispone che il diritto a detrazione dell’imposta di cui beneficia il soggetto passivo riguarda non soltanto l’IVA che ha versato, ma anche l‘IVA “dovuta”, riferita ad un debito tributario esigibile.

Ne consegue che il diritto a detrazione dell’IVA non può, in linea di principio, essere subordinato all’effettivo previo pagamento dell’IVA stessa.

Per l’Agenzia delle entrate, dunque, tali principi valgono fintanto che c’è corrispondenza tra il valore del bene o della prestazione concretamente ricevuta e il corrispettivo dovuto, cui corrisponde l’IVA detraibile.

 

L’Agenzia ricorda che il tema del rapporto tra principio di cartolarità e principio di neutralità dell’IVA è stato più volte affrontato nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia UE.

In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista­ o non venga ripristinato con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica. 

Spetta all’emittente della fattura, quale soggetto passivo, versare l’IVA liquidata in fattura nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta dallo Stato membro, per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura.

Con il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare, si riconduce a regolarità il funzionamento del sistema IVA, consentendo l’applicazione della esatta imposta dovuta e il corretto esercizio del diritto a detrazione, da parte del destinatario della fattura emendata da errori.

 

Sempre la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la Direttiva IVA circoscrive il diritto alla detrazione alle sole imposte dovute e non può essere esteso all’IVA indebitamente versata a monte, per cui non si estende all’imposta dovuta esclusivamente in quanto esposta sulla fattura.

Secondo la giurisprudenza, dunque, il mero possesso di una fattura non legittima alla detrazione dell’IVA indicata, in quanto l’imposta deve essere coerente con l’operazione sottostante, con la conseguenza che il committente non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata laddove non sussista corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, ovvero tale corrispondenza non sia ripristinata con la procedura di variazione.

Ciò vale, come nel caso di specie, anche qualora tale ripristino non fosse più possibile.

 

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia:

– il credito IVA invocato dall’istante deriva da un debito non esigibile, in quanto dallo stesso mai pagato perché prontamente contestato per vie legali e in sede di contenzioso;

– il controvalore effettivo della prestazione di consulenza ricevuta è quello rideterminato per effetto dell’accordo transattivo­ e non anche quello documentato con le fatture oggetto di contestazione e mai saldate.

 

Pertanto, l’Agenzia è del parere che, al ricorrere dei relativi presupposti ossia che i servizi cui si riferiscono le fatture siano effettivamente inerenti l’attività d’impresa svolta dall’istante e afferenti a operazioni eseguite/da eseguire, nonché escluso qualunque intento fraudolento, l’istante potrà portare in detrazione la sola IVA derivante dall’accordo transattivo, in quanto imposta effettivamente dovuta.

Infine, l’Agenzia chiarisce che, nel caso in esame, non assumendo l’importo dell’IVA originariamente indicato nelle fatture emesse dal prestatore alcuna rilevanza fiscale, neppure la differenza tra tale importo e quello dell’IVA detraibile rileverà ai fini IRES e IRAP.

 

Surroga nei diritti di credito: soggetto legittimato ad emettere nota di variazione IVA

L’Agenzia delle entrate ha chiarito che, nell’ipotesi di surroga nei diritti di credito, l’assicurato rimane l’unico soggetto legittimato ad emettere la nota di variazione IVA in diminuzione (Agenzia delle entrate, risposta 11 settembre 2023, n. 427).

Una società attiva nel settore delle assicurazioni dei crediti commerciali, cauzioni e recupero crediti ha sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate un quesito relativo alla possibilità di emettere una nota di variazione IVA in diminuzione in relazione a un credito originariamente vantato da un proprio assicurato nei confronti di un terzo soggetto responsabile e per il quale, all’esito di un procedimento di surrogazione, si è verificato il mancato pagamento da parte del debitore ceduto a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose. 

 

L’articolo 26 del Decreto IVA disciplina le variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, il cui esercizio ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi espressamente previste.

Ai sensi di tale articolo se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione.

 

Nell’ambito di procedure concorsuali, la possibilità di emettere una nota di variazione in diminuzione si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato alla procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

L’Agenzia ricorda che il recupero dell’imposta attraverso la nota di variazione presuppone sempre l’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originaria, da un lato, e, dall’altro, l’oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili.

È necessario, dunque, che la nota di variazione sia speculare alla fattura originaria e che permanga l’identità tra gli originari soggetti dell’operazione imponibile.

 

Di qui la conclusione dell’Agenzia per cui, nell’ipotesi di surroga dell’assicuratore, dal punto di vista fiscale l’assicurato (originario cedente/prestatore) rimane l’unico soggetto legittimato ad emettere la nota di variazione in diminuzione.

Qualora, poi, il cliente insolvente fosse assoggettato ad una procedura concorsuale, il cedente/prestatore potrà procedere all’emissione della nota di variazione al momento dell’apertura della procedura medesima.

Inquadramento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza

L’Agenzia delle entrate ha illustrato il trattamento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza alimentato prevalentemente da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto (Agenzia delle entrate, risposta 8 settembre 2023, n. 425).

Il comma 1 dell’articolo 17 del TUIR individua i redditi che, in considerazione della loro tendenziale formazione pluriennale, non concorrono alla formazione del reddito complessivo cui si applica la tassazione ordinaria e che sono invece assoggettati al regime di tassazione separata.

 

L’imposta si applica separatamente ai seguenti redditi:

trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c. e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, compresi quelli contemplati alle lettere a), d) e g) del comma 1 dell’art. 50, anche nelle ipotesi di cui all’art. 2122 c.c.;

altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza ai sensi dell’articolo 2125 c.c. nonché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

 

Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva.

L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. n. 124/1993 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

 

Riguardo alle indennità equipollenti, l’Agenzia ricorda che:

  • sono definite come tali le indennità spettanti ai pubblici dipendenti e, in specie, stante la codificata equipollenza, ovvero equivalenza con il TFR, quelle corrisposte in ogni caso in cui venga a cessare il rapporto di pubblico impiego o l’appartenenza a una generale categoria di tale settore;

  • sono imponibili per un importo che si determina riducendo il loro ammontare netto di una somma pari a euro 309,87 per ciascun anno preso a base di commisurazione, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale (per i periodi inferiori all’anno la riduzione è rapportata a mese);

  • se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai ccnl, la somma è proporzionalmente ridotta;

  • l’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. n. 124/1993, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

  • l’ammontare netto delle indennità, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo di previdenza.

In particolare la circolare MEF n. 2/1986 ha specificato che qualora il dipendente abbia diritto a più indennità, il carattere di ”equipollente” va assegnato a quella ”principale”, spettante per il rapporto di pubblico impiego che lega il beneficiario all’ente o organismo di appartenenza. Le altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, invece, sono emolumenti, sia nel comparto privato che pubblico,­ erogati in connessione al verificarsi della cessazione del rapporto di lavoro, comprese le indennità commisurate alla durata del rapporto stesso e corrisposte anche da soggetti diversi dal datore di lavoro vero e proprio.

Per il settore pubblico, dove normalmente non sono previste indennità, premi ed erogazioni aggiuntive dell’indennità di fine rapporto spettante in via principale, le ”altre indennità e somme” si compendiano essenzialmente negli emolumenti erogati da Fondi o Casse di previdenza che, per ciascuna categoria di pubblici dipendenti, di solito corrispondono un trattamento aggiuntivo di fine rapporto, ragguagliato per lo più agli anni di effettivo servizio prestato presso l’Amministrazione che eroga il trattamento.

 

Ciò premesso, in riferimento alla fattispecie oggetto d’interpello, l’Agenzia ritiene che “l’indennità” erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza rientri nell’ambito di tali ”altre indennità somme”, rappresentando un’indennità integrativa di quella principale (indennità di buonuscita) corrisposta dall’INPS.

Tuttavia, a seguito di numerose pronunce della Corte di cassazione nelle quali tale indennità è risultata ”equipollente” al TFR, l’Avvocatura Generale dello Stato, con nota n. 168969/2023, ha chiarito che:

  1. l’indennità erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza ha funzione previdenziale ed è assimilabile all’indennità equipollente rappresentando una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, essendo la composizione del fondo costituito in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto;

  2. va applicata la tassazione separata prevista dall’art. 17 del­ T.U.I.R.

Ai fini della determinazione della base imponibile, il Fondo ha natura composita, ma non rinviene direttamente da contributi versati dai lavoratori, e dunque non va applicato il criterio di riduzione del calcolo dell’imponibile, mentre va riconosciuta la deduzione forfettaria di cui al primo periodo dell’art. 19, comma 2­bis del T.U.I.R..

 

In conclusione, l’Agenzia afferma che l’indennità erogata dall’Ente ai dipendenti al momento della cessazione dal servizio vada assoggettata a tassazione separata e sia imponibile per un importo che si determina riducendo l’ammontare netto di una somma pari a euro 309,87 per ciascun anno di servizio.