AdE: analisi del nuovo regime transfrontaliero di franchigia IVA

La circolare del 16 dicembre 2025, n.13/E, dell’Agenzia delle entrate ha come oggetto il D.Lgs. n. 180/2024, che recepisce la Direttiva (UE) 2020/285 e la Direttiva (UE) 2022/542, introducendo il nuovo regime transfrontaliero di franchigia in materia di imposta sul valore aggiunto.

La Direttiva (UE) 2020/285 (“Direttiva franchigia per piccole imprese”) modifica la Direttiva 2006/112/CE (“Direttiva IVA”) per quanto riguarda il regime di franchigia transfrontaliero, e il Regolamento (UE) n. 904/2010 per la cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni necessarie alla corretta applicazione del regime speciale.

Il Decreto legislativo 13 novembre 2024, n. 180, dunque, dà attuazione alla direttiva (UE) 2020/285 per quanto riguarda il regime speciale per le piccole imprese e alla direttiva UE 2022/542 per quanto riguarda le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto, apportando modificazioni significative che si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2025.

 

In precedenza, fino al 31 dicembre 2024, il regime di franchigia era riservato alle imprese stabilite nello Stato membro in cui l’IVA era dovuta e operava solo in ambito “domestico”. Tale regime consentiva al soggetto passivo di non addebitare l’IVA sulle operazioni attive e di non detrarre l’IVA versata a monte, fruendo di importanti agevolazioni in tema di adempimenti.
Il legislatore unionale ha rivisitato la disciplina in un’ottica di semplificazione globale per le piccole imprese volta a ridurre gli oneri amministrativi e favorire lo sviluppo degli scambi transfrontalieri.

La rilevante novità, in vigore dal 1° gennaio 2025, riguarda l’ampliamento dell’ambito territoriale del regime di franchigia e ciò comporta che al livello “domestico” già esistente (in Italia il c.d. regime forfetario) si aggiunge ora il livello “transfrontaliero” del regime medesimo. 

 

Gli Stati membri che adottano il regime di franchigia domestico, al ricorrere delle condizioni previste, devono concedere tale franchigia anche per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel loro territorio da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro. Questi soggetti possono applicare il regime di franchigia transfrontaliero in uno o più Stati membri (diversi da quello di stabilimento), previa apposita identificazione nel solo Stato di stabilimento.

 

Il regime riguarda unicamente le operazioni attive (output), mentre le operazioni passive (input) non sono interessate.

Lo Stato di stabilimento è, in via generale, l’unico con cui il soggetto deve relazionarsi per l’attività ordinaria, inviando la comunicazione preventiva e le comunicazioni trimestrali.

 

Per avvalersi del regime transfrontaliero, il soggetto passivo deve rispettare due soglie di volume d’affari annuo:

  • la soglia di volume d’affari annuo applicabile in ciascuno Stato membro per la franchigia domestica (che non può eccedere 85.000 euro);
  • la soglia di 100.000 euro di volume d’affari annuo nell’Unione.

Il regime è riservato ai soggetti stabiliti nell’Unione europea e non possono aderirvi i soggetti stabiliti al di fuori dell’UE.

Non è possibile applicare il regime di franchigia solo ad alcune operazioni attive nello stesso Stato, ma il contribuente può scegliere di operare in franchigia in certi Stati e applicare le regole ordinarie in altri.
Il soggetto passivo che intende applicare il regime di franchigia in altri Stati (Stati di esenzione) deve chiedere l’autorizzazione al proprio Stato di stabilimento tramite una procedura che si conclude con l’attribuzione del suffisso EX.

Il D.Lgs. n. 180/2024 introduce nel decreto IVA il nuovo Titolo V-ter, Capo I, rubricato “Regime transfrontaliero di franchigia” il quale disciplina:
– la Sezione I (art. 70-terdecies): Definizioni e disposizioni generali;
– la Sezione II (artt. 70-quaterdecies a 70-septiesdecies): Regime di franchigia applicato in Italia da soggetti stabiliti in altri Stati membri (“regime di franchigia per i soggetti non stabiliti”);
– la Sezione III (artt. 70-octiesdecies a 70-duovicies): Regime di franchigia applicato in altri Stati membri da soggetti stabiliti in Italia (“regime di franchigia per i soggetti stabiliti”).

 

I soggetti che aderiscono al regime transfrontaliero di franchigia non esercitano la rivalsa dell’IVA sulle operazioni attive (output) e non hanno diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti (input) afferenti tali operazioni.

Nell’ambito di tale regime l’Italia può rivestire il ruolo di Stato di stabilimento (gestendo l’autorizzazione, il numero EX e le comunicazioni) o di Stato di esenzione.
Sono escluse dal regime transfrontaliero di franchigia le cessioni di mezzi di trasporto nuovi trasportati o spediti in un altro Stato membro e altre cessioni escluse dallo Stato di esenzione.

 

La determinazione del volume d’affari annuo complessivo nell’Unione europea (massimo 100.000 euro) e del volume d’affari annuo realizzato in ciascuno Stato membro è fondamentale. L’articolo 70-terdecies, comma 1, lettera b), del decreto IVA fornisce una definizione ampia di volume d’affari annuo realizzato nell’Unione, comprendendo in esso “il valore totale annuo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, al netto dell’IVA, effettuate nel territorio dell’Unione europea nel corso di un anno civile”. In Italia, la soglia di volume d’affari per l’accesso al regime è di 85.000 euro. Concorrono alla determinazione del volume d’affari le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in ogni Stato secondo le norme unionali. Non concorrono, ai sensi del comma 3 dell’articolo 70-terdecies: le cessioni di beni d’investimento materiali o immateriali; e specifiche operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10 del decreto IVA (salvo che non abbiano carattere accessorio). È escluso anche il valore degli acquisti nazionali o intracomunitari in cui il soggetto passivo è debitore d’imposta in reverse charge.

 

Regime di franchigia per soggetti stabiliti in Italia
Il decreto legislativo, nel recepire nell’ordinamento domestico il regime di franchigia transfrontaliero applicabile dai soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, dispone, all’articolo 70-octiesdecies, comma 139, del decreto IVA, che l’accesso al citato regime è subordinato:

– ad adempimenti procedurali, come la trasmissione di una comunicazione preventiva all’Agenzia delle entrate per richiedere l’ammissione e l’attribuzione del suffisso EX;

– alla verifica dei requisiti stabiliti dallo Stato membro di esenzione;

– al rispetto del requisito unionale di non aver superato la soglia complessiva di 100.000 euro di volume d’affari nell’Unione, sia nell’anno civile precedente, sia nel periodo in corso prima della comunicazione preventiva.

Possono optare per questo regime anche soggetti che in Italia non applicano il regime forfetario, compresi soggetti diversi dalle persone fisiche.

 

Il soggetto deve trasmette la comunicazione preventiva mediante procedura web all’Agenzia delle entrate. L’Agenzia, dopo un riscontro, trasmette la comunicazione agli Stati di esenzione. Se l’esito delle interlocuzioni è positivo, l’Agenzia assegna il suffisso EX (aggiunto al numero di partita IVA) entro 35 giorni lavorativi dalla ricezione della comunicazione preventiva. A partire dalla data di tale comunicazione, il soggetto può effettuare operazioni in esenzione IVA negli Stati per i quali è stato ammesso.

 

I soggetti stabiliti in Italia ammessi al regime devono comunicare all’Agenzia delle entrate, entro l’ultimo giorno del mese successivo a ogni trimestre civile, l’ammontare delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate in Italia e in ognuno degli altri Stati membri (o l’assenza di operazioni).
Il soggetto passivo deve comunicare il superamento della soglia di 100.000 euro di volume d’affari annuo nell’Unione europea entro 15 giorni lavorativi dal superamento.

 

La cessazione può essere volontaria, con comunicazione tramite aggiornamento della comunicazione preventiva, o obbligatoria. La cessazione obbligatoria avviene se:
– è superata la soglia di volume d’affari annuo prevista dallo Stato di esenzione, o lo Stato di esenzione comunica il venir meno delle condizioni. La cessazione decorre dalla data di esclusione comunicata da tale Stato.
– è superata la soglia di 100.000 euro di volume d’affari nell’Unione europea nel corso dell’anno civile. In tal caso, il soggetto passivo cessa di applicare il regime di franchigia in tutti gli Stati di esenzione a partire da tale momento.
L’Agenzia delle entrate disattiva tempestivamente il suffisso EX quando cessa l’applicazione del regime di franchigia o quando il soggetto ha cessato l’attività.

Regime di franchigia per soggetti stabiliti in altri Stati membri
L’Italia, come Stato di esenzione, concede l’applicazione del regime di franchigia transfrontaliero, in via tendenziale, alle stesse condizioni applicabili al regime forfetario. Sono ammesse a beneficiarne solo le persone fisiche soggetti passivi d’imposta.
Le condizioni di accesso richiedono che il volume d’affari annuo:

  • nell’anno civile precedente non sia stato superiore a 100.000 euro nell’Unione europea;
  • nell’anno civile precedente non sia stato superiore a 85.000 euro nel territorio dello Stato italiano;
  • nel periodo dell’anno civile in corso precedente alla comunicazione preventiva non sia superiore a 100.000 euro nell’Unione europea (e 85.000 euro in Italia).

Sono previste cause di esclusione analoghe a quelle del regime forfetario nazionale. Il soggetto può operare in franchigia in Italia a partire dal giorno in cui ha ricevuto la comunicazione di attribuzione del numero identificativo EX da parte del suo Stato di stabilimento. Il soggetto passivo è esonerato da tutti gli adempimenti IVA, ad eccezione della certificazione dei corrispettivi, conservazione dei documenti e, ove prevista, emissione della fattura. La fattura, se emessa, può essere in forma semplificata, anche se di ammontare superiore al limite ordinario.
Se un soggetto passivo non stabilito supera la soglia di 85.000 euro in Italia, la cessazione avviene dall’anno civile successivo. Se invece supera la soglia di 100.000 euro nel territorio italiano (volume d’affari annuo), la cessazione avviene a partire dall’effettuazione dell’operazione che ha determinato il superamento. In questo caso, il soggetto è tenuto a identificarsi in Italia ai fini IVA per assoggettare a imposta l’operazione che determina il superamento e tutte quelle successive.

 

Regime forfetario nazionale e coordinamento
Il regime di franchigia nella Direttiva IVA si articola su due livelli (nazionale e transfrontaliero) e il soggetto passivo può optare, qualora previsto dal proprio Stato di stabilimento, per l’adozione di entrambi i regimi o scegliere invece quello, tra i due, che più si confà alle esigenze della propria attività.

L’articolo 1, comma 57, lettera b), della Legge n. 190/2014 è stato integrato, prevedendo che i soggetti stabiliti in un altro Stato membro che soddisfano le condizioni applicano il regime forfetario ai soli fini delle imposte dirette. Ai fini IVA, invece, tali soggetti applicano il regime di franchigia transfrontaliero.
I soggetti stabiliti in Italia che adottano il regime forfetario devono monitorare le soglie annue per entrambi gli ambiti (domestico e transfrontaliero):
– soglia di volume d’affari annuo fissata dallo Stato di esenzione e soglia unionale di 100.000 euro (basate sull’ammontare delle operazioni effettuate);
– soglia annua di 85.000 euro di ricavi e compensi incassati (esclusione dall’anno successivo) e soglia annua di 100.000 euro di ricavi e compensi incassati (esclusione immediata dal regime), ai fini della permanenza nel regime forfetario nazionale.
Infine, l’articolo 1, comma 59, della Legge di stabilità 2015 è stato integrato per consentire sia ai soggetti in regime forfetario che ai soggetti non stabiliti che operano in Italia in regime di franchigia transfrontaliera di emettere una fattura semplificata (ai sensi dell’articolo 21-bis del decreto IVA), a prescindere dall’importo.

 

Inoltre, sono state apportate modifiche all’articolo 19 del decreto IVA per tener conto dell’indetraibilità dell’imposta derivante dall’applicazione del regime di franchigia transfrontaliero. In particolare, non è detraibile l’IVA relativa all’acquisto o all’importazione di beni afferenti operazioni realizzate fuori dal territorio italiano “in regime transfrontaliero di franchigia IVA di cui al titolo V-ter”. Per i beni e servizi utilizzati in parte per operazioni in regime transfrontaliero di franchigia, la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali utilizzazioni.

 

Oltre a ciò, al fine di coordinare le novità in materia di regime di franchigia transfrontaliero con la disciplina del regime del margine di cui al capo IV, sezione II, del D.L. n. 41/1995, ai sensi del nuovo articolo 36, comma 1, i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di franchigia si considerano acquistati da privati, indipendentemente dallo Stato di stabilimento.

 

L’articolo 3, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 180/2024 recepisce la Direttiva (UE) 2022/542 limitatamente alle disposizioni in materia di territorialità dell’imposta sul valore aggiunto nel caso di servizi riferiti ad attività che sono trasmesse in streaming o altrimenti rese virtualmente disponibili e di servizi ad esse accessori.

Le modifiche riguardano le lettere a) e b) dell’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto IVA:

  • alla lettera a), viene specificato che, se i servizi e i servizi accessori si riferiscono ad attività trasmesse in streaming o altrimenti rese virtualmente disponibili, le prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato se il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o è ivi residente senza domicilio all’estero;
  • alla lettera b), è aggiunto il periodo secondo cui la disposizione relativa alla territorialità non si applica all’ammissione agli eventi se la presenza è virtuale.
    Queste modifiche, in vigore dal 1° gennaio 2025, introducono una deroga al criterio del luogo di esecuzione dell’evento, precedentemente applicabile ai servizi resi a privati (B2C).

Per le prestazioni di servizi rese a committenti non soggetti passivi d’imposta (B2C), se i servizi si riferiscono ad attività trasmesse in streaming o altrimenti rese virtualmente disponibili, sono territorialmente rilevanti in Italia se i committenti risultano domiciliati nel territorio dello Stato o sono ivi residenti senza domicilio all’estero.
Inoltre, per le prestazioni di servizi di accesso a manifestazioni (culturali, artistiche, ecc.) e i servizi accessori connessi, se l’ammissione agli eventi avviene tramite servizi trasmessi in streaming o altrimenti resi virtualmente disponibili, le prestazioni sono territorialmente rilevanti in Italia, a prescindere dal luogo in cui si svolgono, qualora i committenti siano stabiliti nel territorio dello Stato (se soggetti passivi) o siano domiciliati nel territorio dello Stato o ivi residenti senza domicilio all’estero (se privati consumatori).

Agevolazioni “Prima casa” per gli iscritti AIRE trasferiti per lavoro

L’Agenzia delle entrate risponde ad un quesito riguardo alla possibilità per un soggetto iscritto all’AIRE e trasferitosi all’estero per ragioni di lavoro di fruire delle agevolazioni “prima casa” (Agenzia delle entrate, risposta 15 dicembre 2025, n. 312).

L’Istante espone di risiedere all’estero per motivi di lavoro, di essere iscritto all’AIRE e di aver svolto l’intero percorso scolastico, comprese scuole medie, superiori e università in Italia. L’Istante intende acquistare un immobile ad uso abitativo e chiede se possa beneficiare delle agevolazioni “prima casa” previste per i cittadini italiani residenti all’estero, come stabilito dall’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 69/2023. La richiesta viene avanzata pur non essendo l’immobile ubicato nel comune di nascita né in quello dell’ultima residenza anagrafica in Italia.

L’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 69/2023 ha modificato la Nota II-bis del TUR, disciplinando l’agevolazione per l’acquisto di “prima casa” in Italia da parte di soggetti trasferiti all’estero per ragioni di lavoro.
Secondo la lettera a) della Nota II-bis, come modificata dal citato decreto, per beneficiare dell’agevolazione, l‘immobile deve essere ubicato:

– nel comune in cui l’acquirente ha o stabilisca la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto;

– se diverso, nel comune in cui l’acquirente svolge la propria attività;

– se l’acquirente si è trasferito all’estero per ragioni di lavoro e abbia risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno 5 anni, nel comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria attività prima del trasferimento.

 

La circolare n. 3/E/2024 dell’Agenzia delle entrate ha chiarito che il beneficio fiscale viene ancorato a un criterio oggettivo. Le persone fisiche possono accedere al beneficio purché ricorrano contestualmente tre requisiti:

  • si siano trasferite all’estero per ragioni di lavoro (qualsiasi tipologia di rapporto, non solo subordinato, purché il trasferimento sia avvenuto prima dell’acquisto dell’immobile);
  • abbiano risieduto in Italia per almeno cinque anni o vi abbiano svolto la loro attività per il medesimo periodo prima dell’acquisto. Il quinquennio non deve essere inteso in senso continuativo. Il termine “attività” intende ricomprendere ogni tipo di attività, incluse quelle svolte senza remunerazione;
  • abbiano acquistato l’immobile nel comune di nascita, di precedente residenza o in cui svolgevano la propria attività prima del trasferimento.

Per queste specifiche ipotesi di trasferimento all’estero per motivi di lavoro, non è richiesto che il contribuente stabilisca la propria residenza nel comune di acquisto né che destini l’immobile ad abitazione principale. Devono comunque sussistere le condizioni di cui alle lettere b) e c) della Nota II-bis, riguardanti l’assenza di altri diritti reali su immobili nello stesso comune o sul territorio nazionale.
In merito all’interpretazione del termine “attività”, precedenti documenti di prassi specificano che il legislatore ha inteso ricomprendere ogni tipo di attività, incluse quelle svolte senza remunerazione, come ad esempio le attività di studio, di volontariato e sportiva.
Nel caso di specie, l’Istante intende acquistare un immobile nel comune dove ha svolto l’intero percorso scolastico, compresa l’università. Poiché le attività di studio rientrano nel concetto di “attività” rilevante, l’Agenzia ritiene che, nel rispetto di tutti i requisiti normativamente previsti, l’Istante possa fruire delle agevolazioni “prima casa” per l’acquisto dell’immobile.

Decreto fiscale in G.U.: nuove disposizioni per IVA, Terzo settore, sport e crisi d’impresa

Il D.Lgs. 4 dicembre 2025, n. 186, riguardante disposizioni in materia di Terzo settore, crisi d’impresa, sport e imposta sul valore aggiunto IVA, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 288/2025 ed è vigente dal 13 dicembre 2025.

Capo I – Disposizioni in materia di imposte sui redditi

L’articolo 1 inserisce l’articolo 79-bis nel Codice del Terzo settore (CTS), di cui al D.Lgs. 3 n. 117/2017. Tale articolo regola il passaggio di beni strumentali dall’attività commerciale a quella non commerciale a seguito del mutamento della qualificazione fiscale dell’attività esercitata.
Gli ETS possono optare per la non concorrenza della plusvalenza (di cui all’articolo 86 del TUIR) alla formazione del reddito imponibile, a condizione che i beni continuino a essere utilizzati dall’ente per lo svolgimento dell’attività statutaria, al fine esclusivo di perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’opzione va esercitata nella dichiarazione dei redditi. La plusvalenza sospesa concorre a formare il reddito imponibile se i beni vengono destinati a finalità diverse da quelle statutarie o se sono ceduti a titolo oneroso o risarciti (anche in forma assicurativa) per perdita o danneggiamento.
Vengono specificate le modalità di calcolo della plusvalenza imponibile nelle diverse ipotesi di concorso al reddito.
Per gli enti che istituiscono patrimoni destinati (ai sensi dell’articolo 4, comma 3, CTS), le disposizioni si applicano limitatamente ai beni inclusi in tale patrimonio.

 

Capo II – Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto
L’articolo 2 modifica due normative relative ai regimi forfettari per il Terzo settore.
Il comma 1 modifica l’articolo 5, comma 15-quinquies, del D.L. n. 146/2021, sostituendo il limite di reddito massimo per l’applicazione del regime forfettario per le attività svolte dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale da “non superiori a euro 65.000” a “non superiori a euro 85.000“.
Il comma 2 modifica l’articolo 86 (Regime forfetario per le attività commerciali svolte dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato), comma 1, del CTS, sostituendo la soglia di ricavi o compensi da “130.000 euro” (o soglia armonizzata) a “85.000 euro o alla diversa soglia che dovesse essere armonizzata in sede europea“. Viene inoltre soppresso il secondo periodo di tale comma.

 

L’Articolo 3 del D.Lgs. n. 186/2025 al comma 1 stabilisce che l’articolo 89, comma 7, secondo periodo, del Codice del Terzo settore è soppresso; mentre il comma 2 adegua il D.P.R. n. 633/1972 (normativa IVA) alla realtà del Codice del Terzo settore, superando definitivamente i riferimenti alle soppresse ONLUS.

Tali modifiche agli articoli 3 e 10 del D.P.R. n. 633/1972 (descritte al comma 2) si applicano a decorrere dal termine previsto dall’articolo 104, comma 2, del codice del Terzo settore.

 

Il nuovo Decreto, all’articolo 4, estende l’applicazione dell’aliquota IVA del 5%, prevista dal numero 1 della Tabella A, Parte II-bis, alle “imprese sociali costituite nelle forme di cui al libro V, titolo V, del codice civile”, aggiungendole dopo la menzione delle cooperative sociali e loro consorzi.

 

L’articolo 5, poi, apporta modifiche al regime speciale delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale. In particolare, all’articolo 86, comma 8, primo periodo, del CTS, le parole “di certificazione dei corrispettivi” sono soppresse.
A decorrere dal termine di cui all’articolo 104, comma 2, del CTS, all’articolo 2, comma 1, lettera hh), del D.P.R. n. 696/1996, le parole relative alle associazioni senza fini di lucro e pro-loco sono sostituite con “e dalle organizzazioni di volontariato di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117».

 

A seguire, all’articolo 6 del nuovo decreto fiscale, si colloca la proroga dell’esclusione IVA per gli enti associativi, modificando l’articolo 1, comma 683, della Legge n. 234/2021 (sostituzione della data del “1° gennaio 2026” con “1° gennaio 2036”).

 

Capo III – Disposizioni in materia di sport
L’articolo 7 prevede disposizioni fiscali in tema di enti sportivi dilettantistici, con la modifica l’articolo 1 della Legge n. 398/1991.
Il regime viene esteso dalle “Le associazioni sportive” a “Le associazioni e le società sportive dilettantistiche di cui all’articolo 6, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36”.
Il limite massimo di proventi rilevante per l’applicazione del regime agevolato viene innalzato, sostituendo il precedente limite di “lire 100 milioni” con “400.000 euro” sia al comma 1 che al comma 2.

 

Titolo II – Disposizioni in materia di Crisi d’Impresa
Capo I – Disposizioni in materia di imposte sui redditi
Viene modificato, con l’articolo 8 del nuovo D.Lgs. n. 186/2025, l’articolo 88 del TUIR, fornendo un’interpretazione autentica del comma 4-ter, in materia di sopravvenienze attive. Al riguardo, si stabilisce che le riduzioni dei debiti d’impresa non si considerano sopravvenienze attive ai sensi del primo periodo del comma 4-ter, anche se avvenute nell’ambito di concordato nella liquidazione giudiziale, concordato minore liquidatorio e concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Inoltre, le riduzioni dei debiti non costituiscono sopravvenienze attive ai sensi del secondo periodo del comma 4-ter, anche nei casi di concordato minore in continuità aziendale, accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, piani attestati e piani di ristrutturazione soggetti a omologazione.
Non è previsto il rimborso delle maggiori imposte versate in conseguenza di interpretazioni precedenti e difformi da quella stabilita dal comma 1.

 

Titolo III – Disposizioni in materia di IVA
Capo I – Revisione della disciplina della detrazione
Con l’articolo 9 viene abrogato il comma 3 dell’articolo 19-bis.2 del D.P.R. n. 633/1972.
A seguire, l’articolo 10 sostituisce interamente l’articolo 19-ter del D.P.R. n. 633/1972 (Detrazione per gli enti non commerciali).
Il nuovo comma 1 stabilisce che, per i soggetti che svolgono attività economica non esclusivamente, la detrazione IVA su acquisti/importazioni utilizzati parzialmente per fini estranei all’attività economica è ammessa solo per la quota imputabile a tale attività economica, determinata secondo criteri obiettivi.
Il comma 2 introduce l’obbligo, per tali soggetti, di gestire con contabilità separata le attività per cui sono soggetti passivi e quelle per cui non lo sono, ai fini del diritto alla detrazione.
Il comma 3 stabilisce che, per regioni, province, comuni, consorzi, università ed enti di ricerca, la contabilità separata deve essere realizzata nel rispetto delle modalità previste per la contabilità pubblica obbligatoria. Tale obbligo si estende anche agli enti pubblici di assistenza e beneficenza, a quelli di previdenza, all’ACI e agli automobile clubs.

 

Capo II – Disposizioni di armonizzazione della disciplina nazionale alla normativa unionale e ai principi fissati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea
L’articolo 11 prevede modifiche all’articolo 40-bis del D.P.R. n. 633/1972, riguardante i servizi di pagamento.
Nella definizione di prestatori di servizi di pagamento (lettera a)), vengono esplicitamente escluse la Banca centrale europea, le banche centrali nazionali (anche quando non agiscono come autorità monetarie), altre autorità pubbliche e le pubbliche amministrazioni statali, regionali o locali (anche quando non agiscono come autorità pubbliche).
Vengono sostituite le definizioni di “servizio di pagamento” (lettera b)) e “operazione di pagamento” (lettera c)), con riferimenti specifici al D.Lgs. n. 385/1993 e al D.Lgs. n. 11/2010.

 

Viene anche modificato, dall’articolo 12 del nuovo Decreto, l’articolo 9, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, dove le parole “dal prestatore dei servizi di cui al numero 4) del medesimo primo comma” sono sostituite dalle seguenti: “dal prestatore dei servizi di cui al numero 4) del medesimo primo comma, anche se resi da intermediari”.

 

Capo III – Abrogazioni

Infine con l’articolo 13 viene stabilita l’abrogazione dell’articolo 1, comma 151, della Legge n. 197/2022.