Credito d’imposta ricerca, innovazione e design

I chiarimenti del Fisco per la fruizione del credito d’imposta in presenza di due esercizi fiscali (Agenzia delle entrate – Risposta 29 aprile 2022, n. 236)

 

Nella fattispecie esaminata dall’Amministrazione finanziaria una S.r.l. svolge attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale nel campo dell’intelligenza artificiale ed è controllata, a partire dal 5 maggio 2020, da una S.p.A..
Al fine di uniformare il proprio esercizio fiscale con quello della controllante, la S.r.l. ne ha modificato la data di chiusura al 30 aprile.
Pertanto, nel corso dell’anno solare 2020, saranno presenti due esercizi fiscali, uno con inizio 1° gennaio 2020 e termine 30 aprile 2020 e l’altro con inizio 1° maggio 2020 e termine 30 aprile 2021. La S.r.l., a fronte della modifica dell’esercizio sociale, chiede quale periodo temporale debba considerare per il calcolo del credito d’imposta ricerca, innovazione e design.
Il Fisco chiarisce che per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, per gli investimenti in ricerca e sviluppo, in transizione ecologica, in innovazione tecnologica 4.0 e in altre attività innovative, è riconosciuto un credito d’imposta (art. 1, commi 198 a 206, legge 27 dicembre 2019, n. 160).
La nuova disciplina opera per il periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2019 e si sostituisce a quella del credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo il cui periodo di operatività è cessato anticipatamente il 31 dicembre 2019.
Con riferimento al caso prospettato dalla S.r.l., considerato che ” il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019″ ha una durata di quattro mesi (1° gennaio 2020 – 31 aprile 2020), la S.r.l. potrà beneficiare dell’agevolazione anche nel successivo periodo di imposta 1° maggio 2020 – 30 aprile 2021 avendo riguardo però ai soli investimenti effettuati nei primi otto mesi (1° maggio 2020 – dicembre 2020).
Anche in tal caso, il limite massimo delle spese ammissibili dovrà essere ragguagliato alla durata effettiva del periodo agevolato.

IVA su servizio di mensa aziendale e sostitutivo a mezzo dei buoni pasto

Ai fini IVA, forniti chiarimenti sul servizio di mensa aziendale e servizio sostitutivo di mensa aziendale reso a mezzo dei buoni pasto (Agenzia delle entrate – Risposta 28 aprile 2022, n. 231).

Nel caso di specie la Società chiede chiarimenti in merito al trattamento ai fini IVA relativo al rapporto fra mensa aziendale e lavoratore dipendente, anche alla luce dei principi dettati nella risoluzione 75/E del 1 dicembre 2020, con particolare riferimento al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto.
Ai fini della soluzione del quesito prospettato, nella risoluzione n. 63/E del 17 maggio 2005, con riferimento al trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA dei servizi sostitutivi di mense aziendali, è stato precisato che “Nel quadro della disciplina del reddito di lavoro dipendente, la somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti, da parte dei datori di lavoro, ovvero l’erogazione agli stessi di somme finalizzate all’acquisto di pasti, è regolata dall’articolo 51 (già 48), comma 2, lett. c), del TUIR, che prende in considerazione distinte ipotesi, e precisamente:
a) gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro;
b) prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (Ticket restaurant);
c) corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.
Prescindendo dalla ipotesi sub c) che non interessa il caso di specie, occorre sottolineare come la collocazione di una fattispecie di somministrazione in una delle due residue categorie – a) o b) – sia di estrema importanza in considerazione del fatto che a ciascuna di esse corrisponde un differente trattamento tributario.”
Inoltre, il legislatore non ha dettato regole particolari in merito alle diverse opzioni disponibili sull’organizzazione dell’erogazione dei pasti ai dipendenti. Come evidenziato dalla circolare del 23 dicembre 1997 n. 326 “si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro sia libero di scegliere la modalità che ritiene più facilmente adottabile in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell’attività svolta e che possa anche prevedere più sistemi contemporaneamente. Ad esempio, può istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennità sostitutiva per un’altra ancora, oppure può istituire il servizio di mensa e nello stesso tempo corrispondere un’indennità sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa”.
Ad ogni modo, a seconda della specifica tipologia di servizio prescelta dal datore di lavoro da erogare ai dipendenti, discende il relativo trattamento fiscale da applicare. Nello specifico, il n. 37) della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 4 per cento per le “somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni”.
L’articolo 75, comma 3, della Legge del 30 dicembre 1991, n. 413, ha stabilito che “L’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto del 4 per cento di cui al n. 37 della parte II della tabella A, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali deve ritenersi applicabile anche se le somministrazioni stesse sono rese in dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempreché siano commesse da datori di lavoro. Non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alla somministrazione di alimenti e bevande da chiunque effettuata nei confronti di datori di lavoro, tranne quella effettuata nei locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa aziendale o interaziendale”.
Con il disposto normativo contenuto nell’articolo 75, comma 3, sopra citato – di interpretazione autentica delle disposizioni di cui al n. 37 della Tabella A, allegata al DPR n. 633 del 1972 – il legislatore ha inteso, dunque, chiarire l’ambito applicativo dell’aliquota del 4 per cento prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali, con l’intenzione di estenderlo espressamente anche alle somministrazioni effettuate in dipendenza di contratti aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mense aziendali, sempreché siano commesse da datori di lavoro. Come chiarito con risoluzione n. 35 del 28 marzo 2001, la norma sopra citata consente l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4 per cento a tutte le prestazioni aventi ad oggetto somministrazioni fornite al personale dipendente nei locali ivi indicati. In particolare, con il documento di prassi sopra citato si è ritenuto che il legislatore fiscale abbia voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l’attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale “mensa aziendale”. La risoluzione n. 202 del 20 giugno 2002, con riferimento ad una questione correlata a quella in disamina – in tema di esonero dall’emissione dello scontrino – ha precisato il significato da attribuire alla locuzione “mense aziendali”, intendendosi per tali quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa; inoltre l’appaltatore deve assumere l’obbligo di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del soggetto appaltante.
La disciplina del servizio sostitutivo di mensa aziendale mediante l’utilizzo dei buoni pasto è contenuta, invece, nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 7 giugno 2017, n. 122.
Nello specifico, l’articolo 3 del citato Decreto prevede testualmente che ” Il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), è erogato dai soggetti legittimati ad esercitare: (…) b) l’attività di mensa aziendale ed interaziendale”. L’articolo 4 del Decreto prevede che “(…) i buoni pasto:
a) consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto; b) consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione (…)”. L’articolo 6, comma 1, del Decreto specifica che ” Il valore facciale del buono pasto è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto prevista per le somministrazioni al pubblico di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo”.
Dalla disciplina sopra richiamata emerge che il buono pasto (o ticket restaurant) è un documento di legittimazione (con specifiche caratteristiche) che attribuisce al titolare il diritto di ricevere la somministrazione di alimenti e bevande per un importo pari al valore facciale del buono stesso, il cui valore nominale è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto. Tra gli esercizi legittimati a ricevere i buoni pasto sono ricomprese, tra l’altro, le attività di somministrazioni di alimenti e bevande e le mense aziendali e interaziendali.
In tale caso, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore. Tale prestazione di servizi consiste nell’impegno ad effettuare la somministrazione (articolo 4 del Decreto) all’atto della presentazione del buono pasto da parte del lavoratore.
Nel rapporto tra la società emittente i buoni pasto e la società che gestisce il servizio di mensa aziendale, che accetta i buoni pasto, la misura dell’aliquota applicabile sarà del 10 per cento, ai sensi del disposto di cui al n. 121) della tabella A, Parte III, del DPR n. 633 del 1972 riguardante le “somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande” (cfr. risoluzione 75/E/2020).
Considerato quanto sopra esposto, con riferimento al punto n. 4 lett. a) delle premesse, riferito al caso in cui “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto (selezionando uno dei menù offerti dalla mensa aziendale) in denaro contante ovvero con altri mezzi di pagamento equivalenti (moneta elettronica, etc.)”, alla somministrazione di alimenti e bevande presso la mensa aziendale si applica l’aliquota agevolata del 4 per cento, ricorrendo i presupposti previsti dal n. 37 della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972.
Nel caso di specie, infatti:
– ricorre, come presupposto, il contratto di appalto tra la Società Istante che eroga il servizio di mensa ed il soggetto committente (datore di lavoro) e
– sussiste l’obbligo, assunto dall’appaltatore, di fornire la prestazione ai dipendenti del soggetto appaltante.

Laddove “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto mediante buoni pasto”, non si realizza l’esigibilità dell’IVA al momento della somministrazione del pasto, poiché, come già anticipato, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore, soggetta all’aliquota IVA del 10 per cento.
In tale evenienza, l’imposta diventa esigibile nel momento in cui la società che gestisce la mensa emette fattura nei confronti della società emittente i buoni pasto, mentre la base imponibile va determinata applicando la percentuale di sconto convenuta al valore facciale del buono pasto, scorporando, quindi, dall’importo così ottenuto, l’imposta del 10 per cento in esso compresa, mediante l’applicazione delle percentuali di scorporo dell’IVA indicate nel comma 4 dell’art. 27 del DPR n. 633 del 1972 (cfr. risoluzione n. 49 del 3 aprile 1996 e risoluzione 75/E/2020).
Va da sé che lo scorporo delle due diverse aliquote (4 per cento o 10 per cento) va fatto sempre facendo riferimento al prezzo convenuto, sicché non è corretto, come prospettato dall’istante, ipotizzare due listini prezzi differenziati sulla base del metodo di pagamento prescelto.

Con riguardo, infine, all’ipotesi secondo cui il lavoratore dipendente paga il pasto ” per parte in contanti e per parte in buoni pasto”, visto quanto già chiarito, ne deriva che:
– sulla quota parte del prezzo pagato in contanti o con mezzi elettronici, per cui si realizza il momento impositivo, l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 4 per cento;
– Sulla restante parte “pagata” mediante il buono pasto, il cui momento impositivo si realizzerà all’atto della fatturazione dei corrispettivi alla società emittente il buono pasto – perché, come detto, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant (ossia l’impegno ad effettuare la somministrazione in favore del lavoratore) – l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 10%.
Posto quanto sopra, relativavamente al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto (qualora il prezzo del servizio sia superiore al valore del buono pasto), le soluzioni operative prospettate dall’istante si pongono in contrasto con il quadro normativo di riferimento sopra delineato, nonché con i chiarimenti forniti in materia dall’Amministrazione Finanziaria nei vari documenti di prassi.

Con riguardo, infine, agli obblighi documentali nei confronti del lavoratore, i corrispettivi percepiti per la somministrazione di alimenti e bevande rese in mense aziendali – già esentati dagli obblighi di certificazione fiscale, in base all’articolo 2, comma 1, lett. i), del d.P.R. n. 696 del 1996 – sono altresì esonerati, in base a quanto previsto dal DM del 10 maggio 2019, dall’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, nonché dall’emissione del documento commerciale (cfr l’articolo 2 del dlgs n. 127 del 2015), qualunque sia il mezzo di pagamento. Resta, invece, l’obbligo di emissione della fattura per documentare le somme percepite dalla società emittente i buoni pasto.
Stante l’esenzione dagli obblighi certificativi, anche al fine di determinare l’IVA relativa ai corrispettivi già riscossi che deve partecipare alla liquidazione periodica, è necessario indicare separatamente nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 24 del dPR n. 633 del 1972:
a) le somme effettivamente riscosse, in quanto pagate dal lavoratore in contanti (ovvero con altri mezzi di pagamento elettronici) – la cui imposta, calcolata applicando l’aliquota del 4 per cento, è divenuta esigibile;
b) le somme non ancora riscosse, corrispondenti al valore dei buoni pasto – la cui imposta diverrà esigibile all’atto dell’emissione della fattura con aliquota al 10 per cento.

 

ILCCI: il modello di dichiarazione in Gazzetta Ufficiale

Pubblicato nella G.U. n. 98 del 28 aprile 2022, il modello di dichiarazione ai fini dell’imposta sul consumo di Campione d’Italia per i periodi di imposta 2021 e seguenti (Ministero Economia e Finanze – decreto 12 aprile 2022).

Il modello di dichiarazione dell’imposta locale sul consumo a Campione d’Italia (ILCCI) deve essere utilizzato a partire dall’anno d’imposta 2021, ed è composto da:
– il frontespizio, contenente anche l’informativa relativa al trattamento dei dati personali;
– i quadri A e Z.

Il modello dichiarativo è disponibile in versione PDF editabile sul sito Internet del Ministero dell’economia e delle finanze www.finanze.gov.it, ed altresì autorizzato l’utilizzo del modello prelevato da altri siti internet a condizione che abbia le medesime caratteristiche tecniche del modello approvato dal Ministero e rechi l’indicazione del sito dal quale è stato prelevato nonché gli estremi del presente decreto.

La dichiarazione può essere presentata:

– in formato cartaceo direttamente all’Ufficio tributi del Comune di Campione d’Italia (tale modalità è prevista anche per i contribuenti non residenti in Italia e non identificati mediante codice fiscale);

– a mezzo posta, mediante raccomandata senza ricevuta di ritorno, in busta chiusa recante la dicitura “Dichiarazione ILCCI” e l’anno d’imposta di riferimento, indirizzata all’Ufficio tributi del Comune di Campione d’Italia;

– mediante posta elettronica certificata al Comune di Campione d’Italia;

– in modalità telematica, dal contribuente oppure da un soggetto incaricato della trasmissione telematica, attraverso apposita applicazione gestita dal Ministero delle finanze, presente nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate (www.agenziaentrate.gov.it).